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.Avreivoluto divertirmi un po' più a lungo.»A pensarci oggi, sicuramente Witek mi aveva salvato la vita, e sebbene ancheallora mi sentissi sollevato per come erano andate le cose, dovetti comunqueinfliggergli una punizione per avermi disobbedito.Gli comminai cinque giorni diconsegna con il compito di lucidarmi a specchio tutti i miei stivali.Il giorno stesso,però, anch'io fui messo agli arresti domiciliari, perché dello scontro con il barone eragiunta la voce fino all'orecchio di qualcuno dello Stato maggiore.Il duello eraproibito e le pene erano severe, ma in questo caso non essendoci stati né morti néferiti, la passai liscia, anche perché dopo una settimana mi ritrovai a marciare con ilmio battaglione verso Varsavia, dove in gran parte si stavano raggruppando le truppepolacche.Era già primavera inoltrata, ma continuava a piovere e a nevicare.Il tempocambiò al bello solo quando entrammo nella capitale.Il sole e il caldo apparveroall'improvviso facendoci sentire fuori luogo.Che cosa ci facevamo in quella città conle nostre divise grigie, con i cavalli, e i carri blindati? Sembravamo degli intrusientrati nel bel mezzo di una festa.Ci trovavamo lì a testimoniare che la guerra eraalle porte, ma nessuno sembrava preoccuparsene.Anzi, la vita che si conduceva nellacapitale era più che mai spensierata.Passò l'estate, e in attesa che il nemico facesse laprima mossa tornai a dedicarmi ai soliti passatempi: il gioco e le donne, evitando perquanto mi era possibile l'onere dei duelli.Ma non è solo di me che devo parlare, c'eraanche Witek, con il quale dividevo lo stesso appartamento, c'era anche lui che avevale sue esigenze; tuttavia, qualcosa nel suo carattere lo portava a disdegnare certicomportamenti che a me sembravano del tutto leciti.Lui non approvava che corressidietro alle donne sposate, che giocassi a carte e che perdessi a volte in una sola notteuna somma di denaro che lui non si sarebbe sognato di guadagnare in un anno dilavoro.Pur conoscendone le regole, Witek disdegnava ogni gioco d'azzardo.Credoche non avrebbe osato prendere una carta in mano senza il timore di ustionarsi le dita.«Non preoccuparti» gli dicevo, divertito dalle sue rimostranze, «la fortuna gira.Oggi si perde e domani si vince.»Scherzavo, ma in realtà era un periodo che la fortuna sembrava avermi girato lespalle, e mi trovavo seriamente indebitato: in tasca a un certo signor Golub, su cuigravava da parte mia il pesante sospetto che barasse, c'erano parecchi pagherò cherichiedevano di essere onorati al più presto.Witek inoltre non approvava che un viziocosì riprovevole come il gioco delle carte si dovesse svolgere in un luogo dove siconsumavano vizi ancora peggiori.Raramente si giocava in qualche casa privata, disolito ci si riuniva in qualche saletta appartata di una casa compiacente, e non era raroche un giocatore, visto il mal partito della sorte, abbandonasse il gioco per accompagnarsi a qualche ragazza, tanto per sollevarsi il morale, e ritornare dopo unpo' con rinnovato spirito velleitario al tavolo da gioco.In queste case di alto bordo,seppure di malaffare, potevano entrare solo gli ufficiali.L'ingresso era proibito aisoldati semplici, a meno che non fossero in servizio di un loro superiore, ma in talcaso dovevano starsene quieti in un angolo, immobili come manichini, senza ilpermesso di muoversi né di parlare, e di questa loro limitazione le ragazze spessoapprofittavano maliziosamente.Ma con Witek nessuna si azzardava a fare scherzi;c'era in lui qualcosa che intimidiva anche le più sfrontate.Intanto, io vivevo il mio dramma attorno al tavolo verde.Il gioco, per me, èsempre stato un'ossessione, una vera e propria malattia mentale di cui già allora siintravedevano i prodromi.L'ammontare della somma dovuta a questo ineffabilesignor Golub stava aumentando paurosamente.Non ero stato ancora costretto aonorare il mio debito di gioco, solo perché pretendevo di giorno in giorno la rivincita,e se ciò rimandava la scadenza del pagamento, allo stesso tempo mi metteva nellecondizioni di indebitarmi in maniera esponenziale.Questo, Witek lo sapeva.Ormai ilmio debito era salito a una somma paurosa di zloty, e per cercare di annullarlo avreidovuto metterne sul tavolo il doppio, poi il quadruplo e così di seguito.Si giocava apoker e al nostro tavolo, assieme al signor Golub che era il proprietario emanutengolo della casa che frequentavamo, si univano altri giocatori occasionali:ufficiali, e raramente qualche borghese, che però si limitavano a puntare quel pocoche non li avrebbe mandati in rovina poiché non scucivano uno zloty di troppo se nonavevano una mano bell'e servita.Io invece mi battevo per la mia sopravvivenzacontro il signor Golub, che sembrava invincibile.Avevo quasi l'impressione che afare da mazziere fosse la stessa dea bendata che riservava sempre a lui le cartemigliori [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]
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